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LA SCUOLA DEI NAIF di G.Fringuelli

Dall’alto del suo comodo posticino in cielo il sole regnava sovrano, picchiando senza pietà sul legno della piattaforma, sull’acqua dalle stupende macchie di petrolio e sulla mia faccia. Gli unici rumori udibili erano il poetico starnazzare lontano di gabbiani asfissiati e il tramestio da sciacquatura di piatti del mare pigro contro i pali del molo. 

Me ne stavo lì, tranquillo, tra i miasmi della laguna, coronando con cantilenanti imprecazioni quell’atmosfera così idilliaca, quando un rumorino di passi saltellanti mi fece alzare la testa dal mio lavoro.

Una bambina: minuta, sorridente e zuccheromunita avanzava a piccoli balzi. Occhi chiusi e bocca spalancata con fare particolarmente signorile, a inghiottire quanto più zucchero filato riuscisse a strappare con quei suoi innocui dentini. Scarpette leggere, vestitino rosa pastello, gonna così voluminosa e soffice che avrei giurato fosse una nuvola. Tuttora ne sono convinto.

Insomma, era una meraviglia della natura, un esserino che “aw, ma che dolce che è questa bambina! Posso abbracciarla/ amarla/ diventare un suo schiavo a vita?”. Avete capito il genere. Un individuo pericoloso. E questa tenera palla di zucchero e tulle si dirigeva proprio verso di me. 

All’inizio provai ad ignorarla: quello scalpiccio era fastidioso solo in gran parte, poi però mi resi conto che c’era effettivamente qualcosa di strano. Troppa dolcezza, troppa tenerezza, troppa … ingenuità. Mi si accese la lampadina.

Voltai la testa di scatto, mentre la letale macchina da carie arrivava con passo sereno accanto a me. Finse di accorgersi solo all’ultimo che mi era vicina, e fu allora che sfoderò la sua letale vocetta. –Ciao signoe!- disse, sorridente.

-Non mi incanti, ragazzina. Lo so che c’è qualcosa sotto, tutto ciò non è naturale: chi ti manda?-

Finse uno smarrimento così teatrale che persino i pochi vecchi pesci di quel tratto costiero saltarono fuori dall’acqua ad applaudirla. 

–Cosa vuoi die?- chiese, intonando un acuto degno della Callas. 

-Sai che ti ho scoperta, smettila con questa manfrina! Chi ti manda, dannazione?- 

Smise in un attimo di tenere la bocca così oscenamente aperta e, guardando in basso, mormorò in tono più umano un –Mi ha scoperto, signor indagatore. – 

Mi abbassai fino al livello della sua faccetta inzaccherata e dissi, mettendo bene in mostra il mio distintivo da netturbino: -Esatto, bastardella, ti ho sgamata subito. Sono un Indagatore dell’Improbabile, perciò è meglio che collabori: dimmi chi diavolo ti manda! Chi ti allena alla spensieratezza?-

-La mamma sarà in pensiero … cielo, ed è anche l’ora del tè! Arrivederci, Indagatore Pawk, ci vediamo presto!- e, detto ciò, scomparve in un fin troppo batuffoloso “puff!”, tra effluvi di zucchero filato e ricercatissime imprecazioni portuali. Perlomeno da quell’incontro avevo cavato qualcosa: da una sua tasca striminzita, oltre ad una dozzina buona di caramelle per nasconderlo, c’era un tesserino dall’inconfondibile simbolo, che confermò i miei sospetti.

Sapevo dove sarei dovuto andare. 

Prossima fermata: la Scuola dei Naif. 

***

-Grazie, Carter, ti devo un favore.- dissi, scendendo dalla macchina.

–Un altro, vecchiaccio. Non osare perderne il conto! Arriverà il giorno in cui ti chiederò di compiere un omicidio, e tu dovrai farlo senza fiatare per … - 

Fortunatamente il vocione del mio leggiadro amico non si udiva dal vicolo dove mi ero appena infilato. Schivando diversi ratti che mi guardavano con occhi di desiderio, qualche cassonetto e un paio di troll dalla palpebra cadente, cui esibii il mio distintivo a meno di un centimetro dal naso, mi ritrovai finalmente in una piazzetta circondata interamente da edifici giganti, sulla quale si affacciava quello che sembrava un monumentale cottage di marmo e bronzo, che esibiva con particolare fierezza un ghirigoro dorato, campeggiante “La Scuola dei Naif”, con delle davvero naif cagate di piccione tutt’attorno. 

“Eccola, allora, la famosa scuola.”, mi dissi. Diffidate del nome e degli studenti: era piuttosto malfamata. Il Dipartimento Controllo Attività Alquanto Improbabili (il glorioso DiCAA) si era allertato tempo fa alla notizia della sua esistenza, e ancora di più era rimasto scioccato dalla sua materia di insegnamento. Le beghe improbabilmente legali si erano susseguite, ma fino ad allora erano riuscite solo a far regolare le loro attività extrascolastiche (e a scucire una certa quantità di panini al prosciutto naif). 

Erano dunque legalmente puliti, ma, in quanto Indagatore, non potevo transigere sulla deambulazione non controllata di un soggetto così potenzialmente contagiante, dovevo agire, e questa volta avrei dato alla Scuola una soluzione definitiva; ce n’era abbastanza da farle chiudere i battenti, inchiavare la serratura e dare la chiave in custodia ai troll: nel giro di mezz’ora sarebbe stata introvabile.

Entrai quindi abbastanza soddisfatto nell’ignaro edificio, andando quasi subito a sbattere contro quello che sembrava il Rettore. Cioè, era basso, panciuto e pieno di brillantina: doveva per forza essere il rettore. 

–Signor Rettore? – lo squadrai dall’alto in basso. 

-S…sì?- Bingo. 

–Pawk, Indagatore dell’Improbabile. Avrei bisogno di parlare con lei di una faccenda riguardante la sua scolaresca, le spiacerebbe spostarci nel suo ufficio? Avremo un po’ più di discrezione. – bisbigliai, per non farmi sentire da padiglioni uditivi indiscreti di sorta. Poi mi voltai circospetto, constatando la mancanza totale di suddetti padiglioni, o di studenti che li sorreggessero: era tutto stranamente vuoto. –Ripensandoci, non serve. – mantenni il mio tono professionale e cospiratorio. 

–Signore, lei sa che le attività della sua scuola nel mondo esterno sono limitate da ferree legislazioni, vero? –

-Sì, certamente.-

-E che la minima infrazione alle suddette potrebbe per lei comportare… cose?-

-Cielo, sì- impallidì.

-Ebbene, questa mattina mi sono imbattuto in una dei suoi… - mi guardai attorno. –numerosissimi studenti, che, ignorando totalmente il decreto quindiciassette del paragrafo paragrafo della legge che anche lei conosce di sicuro, metteva a rischio contaminazione enne-di-Naif un’intera area marittima. –

L’uomo trattenne il respiro. Io… non so che dire, davvero Indagatore, mi rincresce profondamente, ma sa, questa è la politica degli insegnamenti di questo istituto: non la si può mica limitare con le leggi… d’altronde il motto in simil latino “ingenuitas portantibus estatio dovunquibus” non è a caso. Vede… - 

-Non le ho chiesto dettagli sulla sua scuola, voglio solo riportarle un avvenimento! Ebbene, mi dispiace, signor Rettore, ma a seguito di questo episodio devo chiederle di chiudere tutto. A breve riceverà anche l’ingiunzione dall’Improbabile tribunale, ma lei si porti avanti.-

Mi guardò con smarriti occhi da triglia. –La prego signore, non mi faccia questo! –

-No! Lei ha mancato alla legge, e deve essere punito! Insomma, cosa crede che ci stiano a fare le leggi, eh? Solo per racimolare detenuti? No! Noi Indagatori esistiamo per un motivo: tutelare la quiete del mondo da ogni sorta di evento improbabile. Si rende conto del pericolo che rappresenta la sua scuola? Si rende conto di quanto siano pericolosi i Naif? Gli ingenui! Sono a questo mondo quanto di più improbabile ci sia, non possiamo permettere che turbino il labile equilibrio di questa nostra gloriosa società! Fortunatamente il numero di ingenui naturali sta calando sempre più, ma se c’è lei che ne forma altri e li manda in giro a diffondere l’ingenuità non potremo mai garantire la pace e la normalità a questo mondo! –

Chiusi la bocca, ansimando un poco per la sfuriata. Ero convinto di ogni singola parola avessi pronunciato.

All’incirca.

-Ma non vede che non costituiamo una minaccia? I Naif, o, perlomeno, gli aspiranti sono sempre meno: guardi questo posto! -

-Mi aspetto di vedere le porte sbarrate entro domani. – dissi lapidario, voltandogli le spalle. 

Mentre camminavo, mi raggiunse la sua vocetta sconsolata come una frecciata. –Perché ci ritenete così pericolosi? È davvero un male che in questo mondo adulto e stanco ci siano dei bambini? – 



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