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La strage degli Armeni. Un genocidio che non può essere negato

Il dibattito sulla questione è ancora aperto. Sono numerose e contrastanti le opinioni riguardo a se considerare la strage degli Armeni come un vero e proprio ‘genocidio’. Coloro Chi sostiene che il termine ‘genocidio’ sia appropriato per definire questo risvolto drammatico della prima guerra mondiale, mette in evidenza l’eccessiva durata delle deportazioni e la cattiveria con la quale i maltrattamenti sono stati commessi.
Alla base vi era una annosa situazione di conflitto manifestatasi, in particolare, negli anni 1894-1896, quando gli armeni subirono una violenta repressione da parte dell’impero Ottomano. La loro situazione, già piuttosto precaria, si aggravò con l’avvento al potere dei giovani Turchi.
Andando a studiare le cause di questo genocidio, si devono tenere in considerazione due diverse ipotesi. La prima tende a riconoscere come causa profonda di questa rivalità la paura di un appoggio armeno alle truppe russe, temute avversarie dei Turchi durante la Grande Guerra da poco iniziata. La seconda teoria spiega questo odio sulle spinte nazionaliste che agli inizi del 900 caratterizzarono la minoranza armena.



Con l’inizio della prima guerra mondiale l’instabilità economica, politica e sociale dell’impero Ottomano andò aumentando, ma la crisi dell’impero fu accompagnata da una fase di notevole sviluppo della minoranza armena, tanto che essa iniziò a premere sul sultano per la concessione dell’autonomia. Inoltre l’obbiettivo dei giovani Turchi era quello di andare a creare uno stato etnicamente omogeneo che non lasciava spazio a nessun tipo di minoranza etnica. 

In un contesto culturale così caotico gli Armeni agli inizi dei combattimenti della grande guerra preferirono disertare e riformarsi in truppe a favore dei russi. Le truppe armene cosi riorganizzate conquistarono la cittadina di Van con l’intento di cederla ai russi. Ciò fu possibile solo grazie all’appoggio e al sostegno dei francesi che li incoraggiarono alla ‘rivolta’. Dopo questi eventi, i Turchi che credevano fermamente nel loro obbiettivo, iniziarono le uccisioni tra la popolazione civile armena nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915. I primi arresti effettuati interessarono le classi sociali più facoltose di Costantinopoli. L’operazione continuò nei giorni successivi. In un mese più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari furono deportati verso il deserto della Siria, massacrati lungo la strada e fatti morire di fame. Le deportazioni sistematiche di massa definite come marce alla morte, si prolungarono per l’intero 1915 e per l’anno successivo; furono possibili solo grazie all’appoggio dell’esercito tedesco, primo alleato del Sultano nella Grande Guerra. Alle deportazioni esse seguirono le confische di beni, decreto mai ratificato dal parlamento. La terza fase fu costituita da violenze indiscriminate della popolazione civile che si conclusero con l’ennesima marcia verso il deserto, durante la quale gli Armeni furono depredati di tutti i loro averi. Quasi tutti persero la vita, i pochi superstiti furono bruciati vivi o lasciati annegare nei fiumi.

Sono tuttavia numerosi colori che non definiscono l’evento come un ‘genocidio’. Questi, così come gli stessi Turchi, sostengono che l’idea di fondo dell’impero ottomano non era quello di attuare uno sterminio, ma più semplicemente di impedire una coalizione tra Russi e Armeni, per difendere i propri confini. Questa seconda teoria poco convincente va messa in relazione al numero dei morti. Il numero totale degli Armeni morti negli anni del 1915 1916 e durante le stragi del 1890 è ancora da calcolare con attendibilità, a causa di fonti imprecise: i Turchi sostengono che il numero delle morti non superi le duecentomila persone, contrariamente agli Armeni che stimano 2,5 milioni di morti. Per comodità si sostiene che la cifra più diffusa sia un bilancio di 1,5 milioni. Nonostante l’imprecisione, quindi, è inevitabile non considerarlo un ‘genocidio’.

Come si legge in un articolo dell’Internazionale, scritto in ricorrenza del centenario dell’accaduto, però, i paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno, oggi, sono solo 22. Tra questi c’è l’Italia. Molti altri paesi, tra cui gli Stati Uniti e Israele, continuano a non usare il termine genocidio per timore di una crisi nei rapporti con la Turchia. Persino Barack Obama si era espresso in favore del riconoscimento prima di diventare presidente degli Stati Uniti, ma quando è stato eletto, pur promuovendo la pacificazione tra Turchia e Armenia, ha evitato di usare il termine.

                                                                                                          Elisa Pacini


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